RECENSIONI

L'immaginazione di Messina, con la sua ossessione lirica della violenza, ha momenti di vera originalità e si può dire, che talvolta l'immaginazione è assai più avanti della pittura. Le pitture più belle, e non a caso, sono quelle dove il messaggio allarmato sulla violenza è comunicato con il conflitto o la semplice relazione immota tra organico e metallico-macchinistico. Tutti i quadri con i coltelli confitti nella terra sono delle immagini surrealistiche di tipo nuovo, tanto più apprezzabili in quanto fuori dalla "cucina" surrealistica di cui ha abusato tanta nuova figurazione.

Dario Micacchi 
da L'Unità (1973) 


Per Messina questa realtà aggiunta non è altro che un bestiario incubante generato dal sonno della ragione, all'ottavo giorno della Creazione. Dichiarando la loro irrealtà, queste allucinazioni teratologiche fiaccarono il loro potere. Esse furono nozioni, non emozioni. Concetti, non oggetti di percezione. Messina rimane dunque entro i confini del reale: l'eccesiva dose di realtà è iniettata attraverso una calligrafia ipnotica; ciò che è dipinto acquista un nuovo significato attraverso il modo in cui è dipinto. L'esattezza genera incubi. L'isolamento concepisce desolazione. Tutte le allusioni vitali sono prosciugate dalla durezza innaturale delle cose naturali. "La vraie vie est absente" da questo "coacervo di immagini spezzate" alla bassa marea "quando l'acqua si ritira": Rimbaud s'incontra con Eliot nella "terra deserta" di Lillo Messina che è anche la sua privata "stagione all'inferno": natura snaturante.

Pierre Rouve estratto dal catalogo alla Bedford House Gallery (1976)



1984 L'IMMAGINE DEL POSSIBILE

[...] Non saprei dire se i dipinti ultimi di Lillo Messina alludono a un futuro fossile o a un mineralizzato primordio ma mi sembra certo che essi ci dicono di un presente gettato alla più silente inattualità e divenuto monumento a se stesso, incredulo come le antiche pietre segnate dai sigilli imperiali. I marmi si traducono, per l'immaginazione dell'artista, in acciaio di travature, in cattedrali di residuati bellici in cui non sono ormai più praticabili le messe nere del vecchio simbolismo contestatore. Può darsi che il pittore, inguaribile inanellatore di collane misteriche, persista a coltivare qualche sua segreta illusione, qualche sua inaudita speranza nel valore salvifico delle immagini e nella forza di nuovi e più dimessi simboli che ricordino qualcosa di ciò che l'uomo è stato, o almeno qualche sua traccia: la curva ed erosa superficie di sampietrini che ruba cobalto al mare, per esempio o quel volo d'uccelli a molla che si sparge per l'aria di metallo così come rotolavano nei dipinti della Messa nera, arcaici gnomi sulle scale d'una cattedrale gotica. Angeli smarriti, ancora una volta? O semplicemente attori di una commedia che si recita sul palcoscenico vuoto del presente così come si svolgeva, con soltanto più apparente cattiveria, nel palcoscenico delle grottesche che Messina dipingeva a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta? Non saprei davvero dirlo, anche se mi sembra evidente che l'artista ha oggi condotto all'essenziale, come dopo una lenta e sterilizzante combustione, quelle sue inquietudini d'immagine. Eppure su quelle superfici terse s'avverte -   e questo forse è il vero indice di una speranza - come il nascere di una malattia della sensibilità, un fremere di pittura che incrina gli smalti della materia e la corrode dall'interno, quasi che qualcosa tornasse a germinare all'ombra dei relitti di ferro verniciato e a un nuovo calore del mare. Il pittore, (chissà?), ha visto l'ombra di nuove rotte e di nuovi misteri, o il fantasma ancora vagante dell'uomo ansioso di ritrovare una immagine di se stesso, e forse di ciò che un tempo si chiamava poesia.

Franco Solmi




1989 IN VIAGGIO CON ULISSE

(...) Verrebbe, pur tuttavia non saremmo nel giusto, da valutare l'immagine del pittore secondo le cadenze di certa iperrealtà. E qui il pensiero si volge non tanto agli americani, ma piuttosto a quei tedeschi del 'Gruppo Zebra' che, pur mantenendo stretto il rapporto obbiettivo, non ne ha fatto elemento esclusivamente ossessionante. Per ragioni di cultura, di area, in una parola, di sensibilità europea. Messina, allora, appartiene a quell'area di artisti che saremmo tentati di dire, semplicemente, della verità. Sempre comunque passata al filtro dell'analisi intellettuale. Ciò attesta una sua indubbia propensione al concreto su cui, per altro, non può, egli, fare a meno di innestare le valenze di un fantastico che metaforizza gli stessi assunti figurativi. Sarà per queste ragioni, allora, che la pittura vien pure ad assumere carattere fondamentalmente simbolico. Il che, dice, d'una sorta di dicotomia tra valore dell'apparenza e significato della sostanza. Ne fanno fede, a volte, i titoli stessi che egli dà ai suoi quadri. Pur comprendendosi, per tali motivi, le scelte d'una mitologia che, partendo di lontano, giungono non di meno a far mitologico il presente. Come, insomma, ad esaltarne il senso ma anche a vederne il dramma. (...) Ecco la mitologia del quotidiano. Un quotidiano che, su linee sembianti, è certamente civile ma, in sé, conserva un che di selvaggio che lo rende inappagante. E come può essere diversamente un quotidiano che annulla e violenta la natura che azzera, infine, ogni tensione alla vita? Una mitologia, spingendo agli estremi l'analisi, che dell'odierno circostante dà visione come fosse di un assoluto remoto. In quest'ottica le opere di Messina potran dare l'impressione d'esser testimonianza di un curioso recupero archeologico, la distanza del cui tempo sottrae verità persino ad un uccello che vola in quella limpida aria - o si posa sui reperti - cantando, in simbiosi con la meccanicità del contesto, il suo suono metallico. (...) Messina, allora, dà valore allo spettacolo inquietante di un mondo nel quale non sembrerebbe totalmente riconoscersi, di questo, però riconoscendo solo alcuni segni da cui partire per tutta una serie di riflessioni che investono non solo e non, tanto i problemi della pittura ma quelli stessi dell'esistenza. Di questa esistenza egli ne fa un punto di ancoraggio fermo per le proprie immagini arricchendo sempre il tutto di una efficacia personale.

Domenico Guzzi

 

1989 MEDITERRANEO D'AUTORE

"In viaggio con Ulisse" è il titolo che il pittore ha dato a questo ciclo di dipinti recenti che, tra metafora e realtà, sono un'avventura immaginativa dolcissima nello spazio luminosissimo del Mediterraneo di un azzurro, cielo e mare, incontaminato e sempre di splendore meridiano. Il sogno ad occhi ben aperti di un ritorno in Sicilia - e il percorso di porto in porto è sempre passando tra cose all'osso - che fa un moderno compagno di Ulisse, non preoccupato di Itaca e di Penelope, con l'occhio incantato che guarda a terra riconoscendo oggetto dopo oggetto le tracce ed i segnali visti sulle banchine dei porti toccati lasciando la Sicilia. Nulla è più come prima: una corrosione intacca gli oggetti, i colori, le forme. Non c'è presenza umana sicché gli oggetti del porto sembrano formare una grande natura morta metafisica. Pittura di trapassi sottili da stato d'animo a stato d'animo: tagli netti di sagome e colori che irradiano luce nella luce cosmica. Lo sguardo del pittore è penetrante, ossessivo, afferra i fili d'erba ed i fiori cresciuti tra pietra e pietra; gli oggetti lasciati sulla sabbia o sul molo, le corde lacere o nuovissime, i gabbiani alti nel cielo ed i gabbiani allegri in turbini che si posano qua e là. La visione è netta, neometafisica. Il senso del tempo struggente; la nostalgia di un'età incontaminata assai forte. Il navigare e navigare lascia sulla sabbia e sulle pietre il catrame delle banchine dei porti, oggetti fuori uso e ferraglie che sembrano grandi sculture di una lontana civiltà rosicchiata dal tempo. Eterni sono il cielo ed il mare almeno così sembrano - e assai fragili invece le tracce del transito umano con i rottami che si lascia dietro quest'uomo misterioso che va avanti e dietro sotto il sole a picco e riesce a fantasticare con l'immaginazione proprio sugli oggetti che gli segnalano lo scorrere del tempo. Ha fatto passi avanti questo pittore siciliano che ha sempre lo sguardo fisso sul ritmo del mare: con la pittura, sempre più incantata e pura, nelle forme e nei colori.

Dario Micacchi

 

1992 TRA METAFORA E FIABA MARINA

Il mare con le infinite varianti ed il profondo senso di mistero che esso permana, è stato da parecchi anni a questa parte il protagonista assoluto dell'opera di Messina. Oggi come ieri il suo fascino rimane imperatico e le soluzioni tonali della sua gamma di azzurro, ora ocrata, ora viridiata, ora albascente come in una repentina apertura di luce, si fanno tramite di una insistita interrogazione; solo che l'artista ha voluto utilizzare, come oggettive presenze materiche, alcune componenti del suo mondo assorto e visionario: i tondi metallici degli oblò, le cornici rettangolari delle finestre a tenuta stagna, strumenti ed accessori della navigazione. Il tutto come compendio "necessario" che non si affianca o addirittura si sovrappone alla pittura vera e propria ma ne esalta, anzi, genesi e approdi, rivelandone la sognante e corale identità. Perché non bisogna dimenticare che Lillo Messina è sempre stato, come pochissimi altri, un pittore debitore della propria invisibile patèia, quindi incredibilmente sincero fino alle più sottili angosciose vibrazioni dell'anima. (...) E' il suo mare che permette a Lillo Messina, a filo di memoria e di passione, in un esodo interminabile di ambigue epifanie, momenti di autentica liberazione. Qualcosa che gli appartiene totalmente, che non richiama né le basse maree di Bonnard, né le implicazioni metaforiche de il povero pescatore di Puvis de Chevannes e meno ancora le estasi lagunari di Virgilio Guidi. Mi preme solo sottolineare a parte l'opinabilità dei rapporti, per analogia o per antitesi, con i surrealisti o con il vorticismo di Lewis - che la pittura di Lillo Messina fresca, ardente e intellettuale, è istintivamente poetica e ha una sua originalissima impronta. (...) E tuttavia resta inalterata l'urgenza d'abbrivio, il sentimento è ancora incorrotto, il pensiero, che percorre arditamente i complessi dell'ansia conoscitiva - e registra luci zenitali e dubbiose vertigini - non è mai irretito nelle algebre del sofisma. Questo significa essere artisti a pieno titolo, appartenere al gruppo elitario e sempre più esiguo dei creatori che sanno ancora accordare ragione e senso, realtà e favola. Ma il non-teatro riguarda ancora i deserti inesplorati dell'anima, appartiene alla verità del soggetto, che amalgama a filo di angoscia stupefatta le proprie categorie e tenta di risolvere nelle trasposizioni dell'arte il conflitto eterno dell'idea e del sogno, delle equazioni razionali e dell'amore incondizionato. Il disagio dell'uomo contemporaneo, la sua solitudine senza scampo che accredita sul metro dell'esperienza oggettiva l'analisi disperata di Kierkegaard, la logica spietata dei cicli involutivi dello spirito che sconfessano la glorificazione massificata della scienza e della tecnica contemporanea, sono avvertiti nell'opera di Lillo Messina con la più pungente efficacia. Ma ancora una volta, l'accordo della pittura strappata alle frodi esecutive e ai compiacimenti di comodo e del sentimento ha fatto miracoli: dall'impegno e dallo struggimento è venuta fuori una incondizionata latitudine d'arte. La riconoscibilità, unita alla filologia dell'alto mestiere ed ai nutriti caratteri poetico-emotivi, è congruo motivo di qualificazione per un artista di sicuro spessore, che sta "fuori dal rango".

Renato Civello

 

1993 IL MARE DEI MITI

Singolare e personalissima la ricerca di Lillo Messina nel vasto contesto di un'arte quale è quella che, ad una prima ed inesatta valutazione, potrebbe denominarsi iperrealistica. Impressiona in questo artista la precisione e l'acume ottico con cui indaga e descrive sembianze frammentarie e inquietanti del Reale, tanto da indurre a credere a una sorta di poetica dell'esattezza dipendente da un avvicinamento all'oggetto quasi allucinante per la precisione e l'implacabile evidenza. Non si potrebbe dire meglio per inquadrare questa pittura, sorprendentemente tersa e cristallina ma tutt'altro che 'evidente' nella sua resa finale, dove, in un medesimo contesto, un occhio acutissimo ma non banalmente incantato, scruta con amarezza il disfacimento di un mondo che, tuttavia, si mantiene solido e imperterrito di fronte all'orizzonte del pittore, in una dimensione dove la metafora non si risolve mai nel facile simbolo univoco. (...) L'artista si incunea letteralmente in mezzo a un universo minuto e frammentario ma lo ricompone in una chiave che ha carattere 'monumentale', dimensione che entra in dialettico rapporto con quel razionalismo intransigente che la critica più avveduta ha da tempo indivuato nella parabola del pittore. (...) I quadri di Messina sono avventure della mente, ma il maestro sa bene come e quando tira il maestrale che, calando dal nord delle montagne forma colori, chiazze, increspature. Allora si sentono emozioni e percezioni che non passano certo come tali nel quadro e che pure ne costituiscono il presupposto necessario. Ma anche l'odore della salsedine può diventare un tema filosofico. La vita del mare, quegli strani oggetti di metallurgia marinaresca veri ed evidenti, ma incomprensibili come le parole di Salgari in un fantastico libro di avventure (e tanto più vere perché non comprensibili e lontane), hanno senso solo se contemplati come un trampolino di lancio della meditazione. E' la soglia che chiede implicitamente di passare oltre. Quell'oltre che non è dipinto ma è nel dipinto. Messina è pittore sempre e comunque di personaggi visti da molto vicino, pensati in grande, anche fisicamente, con la forte "accentuazione della sfericità dei volumi". Perché, alla fine, è l'occhio che determina tutto e spiega tutto e l'occhio di Lillo Messina ha una capacità gigantesca di visione. Come il re Mida che trasforma ciò che tocca in oro, Messina trasforma ciò che vede in un simulacro gigantesco e possente, simbolo del tempo, tempio eretto a se stesso ed al destino. In tal senso la sua arte ha una componente che potrebbe sembrare religiosa anche se aliena da qualunque compiacimento. Gli oggetti che egli tocca sono sacralizzati perché trionfanti sulla storia e sullo spazio. Il suo racconto figurativo assume le sembianze dell'epopea, sia pure un'epopea celebrata da uno spirito laico intento a scrutare perennemente l'orizzonte, ma non perché in attesa della nave che passerà e ci porterà altrove, ma perché in attesa dell'idea stessa dell'altrove mentre i simulacri del lavoro umano si ergono a baluardo e difesa del trascorrere inesorabile del tutto. E tutto è contemplato e studiato dal maestro con quella specie di amore universale verso le cose, anche infime, che può fare dell'arte una attività veramente degna e grata alla meditazione ed alla fantasia di ciascuno.

Claudio Strinati

 

1998 "DENTRO NEI VERSI, NEL MARE"

(...) Una sorta di foga dell'emersione trascina con sé Lillo Messina e la sua memoria, una natura acquea lo sospinge e lo travolge gioiosamente, ludicamente, con i suoi frammenti biologici, fatti d'improbabili radiolari, pigmentati oggetti organici, disposti da una mano invisibile e decisa nel vortice del caos. Ed è in questa spirale magmatica e ancestrale, incantevole fiamma sprigionata tra cielo e mare, a trovare la sua sostanza tra gli elementi germinativi, a popolare il desiderio che vigila e cova nel cuore di questo artista mediterraneo. Le sue isole profondate nel "mare dei miti", i suoi "atolli", riflettono il mondo di affioramenti prossimo alla scrittura poetica di un D'Arrigo, il costruttore immaginifico di quel coinvolgente testo: "sui prati, ora in cenere, d'Omero". E' qui che vengono ricordati gli abitatori dell'isola, i fulgidi combattenti con le divinità, i marinai inseguiti attraverso i ritmi omerici, sopra quel mare del Peloro vestito - ci ricorda D'Arrigo, (e lo fa anche, con un denso gruppo di racconti, lo stesso Sciascia) - di un drappo "colore del vino". Da questo luogo del mito, topologia della metafora esistenziale incarnazione della vita stessa, genesi della allegoria, vengono raccolti i venti, le giornate ricolme di luci seleniche lungo lo Stretto percorso dal pianto dei delfini, dagli occhi lucidi delle pleiadi. Esse corrono per il gioco incantevole e misterioso delle sponde, vivono l'effetto impalpabile della Fata Morgana, il sogno dello spiro e l'anima delle nebbie serali, il gioco impreciso delle coste, il sole oscurato dalle voci delle "femminote" di Horcinus Orca, dal languore delle sirene, dall'urlo di Cariddi e l'affanno di Colapesce. Si nutrono del canto sensuale di Nausicaa, del tintinnante scroscio di lamiere, del lento e malinconico esaurirsi della passione. (...) Così come la lezione di Monet si fa forte messaggio per contemporaneità per quel suo penetrare, nell'arco di un trentennio (attraverso le sue "ninfee"), nella trama della biologia naturale, nella sua inderogabile spiritualità. Ancora oggi assistiamo a questa tenacia che coinvolge i figli genuini della pittura e li spinge a "dire", a "penetrare", a cantare ed a intridersi della grazia sublime della natura, del suo essere e raccontare, del suo tramandare segni e forze di un amore che è parte sostanziale della storia del mondo. A questo costrutto ideale e passionale si associa il tracciato creativo di Lillo Messina. (...) il gesto di Messina, mosso nell'impeto di un'adesione totale allo spirito della nuova figurazione sostenuta dal marchio d'un vigile iperrealismo, non si priva, comunque, del nutrimento della metafisica, della laminante carezza del sogno, senza con ciò cadere nella rete del languore lirico, nelle trame sonnolenti di una contemplazione senza profondità. Egli discende nel flusso indicibile del racconto primordiale, nel pallore levitante della chiarezza, nello strazio coinvolgente di una grazia che appartiene alla luce.

Aldo Gerbino

 

1998 LA POETICITA' NELLA CREAZIONE

LA SOSTANZA DENTRO LA METAFORA

La materia che nutre la pittura di Messina è la poeticità nella creazione di forma e sostanza dentro la metafora estetica della realtà. Una costante che si ritrova in tutta la sua opera è il legame con il mare, presenza fisica e forte sin dalla sua infanzia. Egli sceglie i colori del Mediterraneo, luminosi, misteriosi, caldi, del mondo della superficie e della profondità che gli appartiene in maniera intima e particolare, quasi scultorea. I toni vibrano suntuosi e sensuali nell'accentuazione della sfericità dei volumi, vivificando il colore con pennellate sovrapposte, con un contrasto che lo illumina e gli dà energia, che si trasmette in onda espansiva a tutta la superficie dell'opera. Le sue terre di Isole, i cieli, i suoi mari, gli oggetti, sono protagonisti della contemplazione dei secoli, simboli della dialettica degli opposti, vita-morte, soggetto-oggetto, organico-inorganico, reale-immaginario, vigore-suggestione, violenza-calma. Essi hanno un'espansività espressiva che crea spazi infiniti, mitici, fantastici, pieni di riflessione e silenzio. L'illusione è la sua finalità. Presenta il mondo sotto un nuovo aspetto, in una dimensione ontologica della realtà che crea molteplici relazioni dove gli oggetti del ricordo compaiono assoluti, sacri, attenti e in solitudine. Essi sono una metafora della percezione interiore delle cose, dell'essere che le guarda e le crea. Sono una sottile provocazione alla comunicazione profonda e poetica con la fantasia. Tutta la sua opera ha una soprendente unicità, che sopravvive alla frammentazione della realtà e alla dissoluzione dell'identità, all'abbondanza dell'informazione e alla superbia tecnologica, in un mondo che introduce nuovi contenuti e cerca nuove definizioni, nei solitari oggetti meccanici. Gli orizzonti infiniti, la potenza del mare, l'attesa, l'atmosfera creata, sembrano appartenere all'itinerario di Ulisse. La sua pittura ha una forte connotazione letteraria, che si riflette nella strutturazione del racconto e nella scelta dei modi, temi, variazioni, proiezioni e sfumature. Queste forme e questa sostanza originano un microuniverso che contiene un macromondo in chiave con un personale stile lirico, con l'intuizione che abita e commuove l'artista, poeta.

Lucrezia Vega Gramunt

 

1999 LA RESA ALLA FORZA DEL MARE

(...) Nel mare c'è il mormorio della brezza e l'irrompere di inquietudini ed apostasie; luogo di miraggi che crescono di intensità e volume allorché Ulisse è prossimo alla consolazione, esso è riuscito a stregare l'artista attraverso uno statuto formale, fatto di seduzione dei sensi, di silenzio sacrale, di stupore e godimento nostalgico per l'incipit mitologico, tessuto romantico quindi, che sempre incalza uno spirito proiettato verso l'assoluto. Genera l'apologia esemplare e ritmata della poesia il mare, proposto e testimoniato nei più svariati percorsi espositivi: vuoi se contemplato con desideri utopici e paradisiaci, come anche intensificato da giganteschi faraglioni, atolli, isole gialle, rosse, blu; e che dire della maestà intrinseca ove la capacità sublimatrice di Messina riesce a prefigurare quei "cieli nuovi e nuova terra", espressione dalla potenza fascinosa nella transizione epocale millenaria che stiamo vivendo? La pittura del maestro siciliano è veicolata da una purezza logica, quasi da uno sconfinamento nello spirituale, come se percorrendo la via estetica egli miri all'approdo religioso, secondo le classiche prove del pensiero tomistico. Il bisogno di bellezza è persuasivo, ma non per sedurre e stimolare passioni ingannatrici, essendo al contrario commovente lo sforzo costante all'ascesi, che tradotta in termini critici, potrebbe definirsi aura metafisica, allusiva eppur difforme dal credo dechirichiano ove le gigantesche volumetrie sono al servizio di ragioni oniriche, con un totale azzeramento del concetto di limite o di misura. (...) Terre leggendarie e fiabesche, che soltanto uno spirito visionario ed intellettuale possiede nell'intimità; terre ove, al di là di ogni equilibrio, domina soltanto l'eroismo, espresso metaforicamente da fenomeniche forme nicciane, volumetriche esternazioni di un monstrum marino, rassicurante ma non troppo, anzi decisamente inquietante. L'amplificazione dei volumi nel dispiegare vorticosi orizzonti di "terribilità", attua una serrata dialettica con la levigata e suadente/sensuale pigmentazione cromatica irradiata da una luce cosmica aurorale. In concreto dalla dicotomia, possanza delle forme/lirismo del colore, nasce quello che chiamerei "sentimento del sublime umanistico". E' sostanziale quindi nella pittura di Lillo Messina il tentativo, riuscito, di interazione (intendo riferirmi alla trama di pensiero, ma altresì alle acquisizioni linguistiche) tra memoria e contemporaneità, ove si pensi ad esempio all'ostensione dell'ordine da un lato e all'ossessione generata dalle masse ciclopiche, enunciate talvolta con sinistra sapienza tecnologica. (...) Senza ombra di dubbio la forza del mare, che è anche la sete del cielo, con i suoi atolli, le sue isole e quel variopinto campionario ludico-meccanico translucido, ci consegna in tutto il suo splendore un capitolo di intensa religiosità, quasi fosse il mare/cielo il sacro giardino dell'Eden: diventa annuncio evidente di questa lettura l'atmosfera sempre aurorale dei dipinti dovuta alla presenza non diretta, ma citata della luce, enigma-tormento-aspirazione-beatitudine senza fine.

Leo Strozzieri

 

1999 IL MARE CHE CONTINUA OLTRE IL TEMPO

(...) In tale rapporto con il tempo della memoria il mare diviene per Messina esso stesso storia che, supportata, dagli elementi simbolici sempre presenti nelle opere del maestro, si tramuta in mito. Ed ecco aprirsi tutto un mondo epico ed eroico dove l'elemento marino diventa luogo determinante per l'incontro tra il mondo degli dei ed il mondo degli uomini dando così vita a leggende che Messina racconta attraverso morfologie imponenti, a volte quasi totemiche. (...) In tal modo "idea" e "natura" si fondono come del resto è d'obbligo nella tradizione estetica della classicità occidentale e Messina, quale erede di questa stupenda civiltà figurativa, ne conferma le caratteristiche privilegiando forme lucide plasticamente inserite nello spazio cui fa da supporto il più autentico degli strumenti ideali: il disegno, capace di concretizzare l'idea della realtà. E' comunque certo che le visioni nitide e sintetiche di Messina, quasi trascrizioni contemporanee delle forme di Piero della Francesca, realizzano atmosfere decisamente sospese che si situano a metà tra un ambito di natura metafisica ed una dimensione di natura surreale. (...) Forme, quindi, assolute e mentali che in ogni caso giungono ad orientarsi negli immensi orizzonti luminosi che aprono le porte ai racconti della fantasia. E' così, infatti, che la pittura di Messina diviene narrativa: l'isola delle sirene come quella di Calipso o della maga Circe divengono pretesti creativi per dar forma alla propria poesia ed il viaggio di Ulisse per tornare nella sua Itaca, diventa il viaggio che compie ogni uomo alla ricerca di se stesso, il cammino che l'individuo deve percorrere per ritrovare la propria dimensione di esistenza trasformando, in tale processualità noetica, il mare dei miti del passato nel mare dei miti del presente. (...) Tutto ciò accade su distese marine i cui flutti sono sempre tranquilli, il mare di Messina, infatti, non è mai in   burrasca: è sempre calmo e solo il vento caldo che giunge da sud osa incresparne leggermente la superficie. Prevale, quindi, sul dato arcano e sospeso quello più certo e solare dovendo prendere atto che nella pittura di Messina la luce assolve a molteplici ruoli linguistici sia di natura semantica che strutturale. La luce, infatti, riesce ad unificare forme e spazio irradiandole di una luminosità tipicamente mediterranea in grado di darci quel segnale d'attesa positiva. (...) In questo modo gli elementi morfologici più vistosi si mostrano in tutta la loro consistenza iletica, analizzata dal pittore nella loro più minima sostanza materiale un po' come Monet nel ciclo delle "Ninfee" sebbene il maestro francese usasse delle pennellate eterogenee ed informi al contrario di Messina che tende ad assegnare ai propri interventi cromatici una sorta di compiutezza formale più regolarizzata. (...) E proprio le onde, che si identificano con gli andamenti lineari, sono anche il nesso che lega il mare al concetto di infinito perché infinito è il loro nascere, crescere ed infrangersi: ciclico come la vita dell'uomo ed il suo continuo vagare alla ricerca di un porto sicuro a cui approdare. Così come Ulisse che cerca la sua Itaca; come gli uccelli marini che volano fino a posarsi su un'isola; come il nostro autore che salpa ogni volta sul proprio vascello poetico per narrarci le sue emozioni ed i suoi entusiasmi inviolati e per dirci che in quegli orizzonti luminosi, in quel mare che continua oltre il tempo, egli trova la propria anima.

Maria Augusta Baitello


2003 MIRABILIS INSULA PICTA

(...) Gli itinerari e gli approdi dei suoi diporti pittorici non sono registrati sulle carte nau­tiche convenzionali. Egli li riconosce navigando a vista, lungo costa, nelle acque salse e terse, profonde e luminose a specchio del cielo, che lo videro fanciullo e giovinetto nella Sicilia nativa, all'imboccatura dello stretto presidiato da Scilla e Cariddi e lungo il perip­lo fumigante delle Eolie. Oppure li localizza e li prefìgura sulla scorta d'una mappa inte­riore disseminata di tracce memoriali, quando volge la prua ai mille lidi del padre Medi­terraneo, sulle rotte geografiche e culturali già lungamente battuti dai remi corsari degli antenati mitici, i cui spiriti aleggiano, venerati e propizi, sul suo naviglio di pittore che non teme varcare le colonne d’Ercole, di inoltrarsi in navigazione nella vastità perigliosa dell'oceano. (...) per Messina, come per Ulisse e per Brindano, conta l’andare sulle ali del sogno, non il dove, che la meta finale e pur sempre l'isola del mistero. Il sogno è l'occhio della polena che scruta gli illimiti spazi azzurri oltre il riverbero accecante del sole meridiano e dissipa la cortina dei vapori, sospesi sulle acque, e squarcia la caligine annichilente del cielo notturno. (...) La mirabilis insula picta di Lillo Messina è una stu­pefacente cartografia di terre emerse lambite dal mare: isole, scogli, atolli, promontori;
ma anche di immani piattaforme attrezzate e macchine galleggianti di inesemplata con­cezione architettonica e struttura formale. Per tanta mirifica ingegneria, insieme futuri­bile ed arcaica, inducono il sospetto che siano l’inesplicabile opera di una intelligenza aliena, in chissà quale precordio ancora silvano dell’umanità. (...)
C'è una valenza metafisica (o forse ermetica) in queste tavole sinottiche della totalità su cui si è concentrato, credo in modo pressoché esclusivo, l’interesse dell'artista. Il quale felicemente vi consuma il proprio magistero di raffinato pittore e, aggiungo, di persona avvertita e sensibile a un ventaglio convergente di suggestioni, di inquietudini, di premon­izioni. (...) mi pare giusto precisare che nell’immaginario di Lillo Messina continuano ad agire, con una loro risonanza dolorosa, la realtà e il suo portato di urgenze sociali ed esistenziali sul piano planetario.
Sono latenze che le presenti partiture non svelano, se non per segnali indiretti. Eppure le indovino sottese, anzi le considero gli input motivazionali degli assunti di questo fìtto e lungo ciclo pittorico in cui l’artista prefigura, se mi e concessa la metafora oggi forse abusata, una sorta di casa comune delle diversità, un ideale arcipelago abitato da un'umanità finalmente conciliata con se stessa e con il mondo.

Nicola Micieli



2008 I RITORNI

L'incipit pittorico di Lillo Messina procede dall'intimità raccolta e sommessa del suo studio, immaginifica fucina di sogni mediterranei, all'estesa, limpida, cristallina spazialità evocante mitiche atmosfere ed epiche avventure, a ritroso nel tempo e nello spazio, quando l'universo conosciuto dall'uomo si risolveva nella precipite bellezza di un mare chiuso eppur vasto e sconfinato, teatro di viaggi avventurosi e sperati ritorni. Il mare, come la siepe di leopardiana memoria, non orizzonte, limite o confine bensì pretesto per condurci oltre il visibile, oltre il sensibile, oltre il reale, verso "sovrumani silenzi e profondissima quiete"; il mare come tramite, come mezzo di ricongiunzione all'Io di ciascun uomo vagante nelle acque primordiali dell'essere, soffocato dalla banale necessità dell'apparire. All'impegno critico e sociale seguono gli anni del realismo metafisico durante i quali Messina pone le basi per la ricerca pittorica di oggi. Le mute ambientazioni marine di un tempo si animano, così, di gioiosi esseri fantastici, miniaturistiche forme alate, variopinti microrganismi, equoree risonanze, frammenti di oggetti ed oggetti non sempre esattamente riconoscibili ma sempre vorticosamente mulinanti intorno isole e promontori, insenature e baie, penisole e faraglioni di surreale bellezza lambiti da un mare turchino o cobalto, appena increspato da un refolo di vento, incendiato dai bagliori luminanti dell'alba o del tramonto, "aperto alla luce riverberante" del sogno. Fantastici lembi di terra emersa dal mare della memoria si dispiegano ai nostri occhi offrendo uno spaccato di vita brulicante e intensa ed un caotico, magmatico addensarsi di forme luministicamente pigmentate, cromaticamente accese di gialli e di rossi, di acerbi verdi silvani e di aspri magenta. Respira piano questo oceano-mare dal profumo sommesso e ci porta l'eco di più remote langhe, lidi disabitati accarezzati dalla potenza distesa delle acque su cui spiccano nivei ovali di un bagliore abbagliante, perle luminose immerse nel liquido amniotico della terra, scrigno di diamante colmo di promesse di vita, cullato da un silenzio primitivo ed eterno tanto che, parafrasando Neruda, è possibile dire del mare di Lillo Messina "di te è piena la curva del silenzio".

Alessandra Infranca



XXXV Premio Sulmona 2008


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